3 novembre 2011 – Adozioni di cani e gatti all’estero, a migliaia verso l’ignoto

A centinaia di migliaia, spediti in carichi abbondanti su furgoni, station wagon, oppure affidati ai cosiddetti padrini di volo, cani e gatti randagi provenienti dall’Italia, ma anche da Spagna, Grecia o Turchia, confluiscono ogni anno nei paesi del nord Europa che li richiedono in adozione. Saranno senz’altro civilissimi e generosi i cittadini tedeschi, svizzeri, austriaci, belgi e non meno gli svedesi e i norvegesi, ma assorbire sistematicamente un numero incalcolabile di animali altrui abbandonati e spesso malati è qualcosa che va contro la logica e il buon senso. Soprattutto quando di regola nelle rispettive strutture nazionali, come pure avviene negli USA, gli animali abbandonati o comunque non reclamati vengono presto uccisi. Ma dopo lunga rimozione collettiva, a dispetto di un’infinita serie di denunce e tentativi di contrastare tali deportazioni, i dubbi iniziano ad affermarsi e un processo che avrà inizio il 19 dicembre a Napoli rischia di costringere la comunità internazionale a guardare e rispondere.

Di sicuro esistono operatori coscienziosi e si verificano affidi fortunati anche oltre frontiera, inoltre non si mettono in discussione l’energia, la generosità, la capacità e la dedizione di tanti volontari che al benessere degli animali talvolta addirittura sacrificano il proprio. Ma può accadere che bene e male si sovrappongano, a beneficio di un sistema incontrollabile e illegittimo nelle sue procedure.

La normativa italiana in materia di randagismo fa infatti riferimento alla legge quadro 281 del 1991, probabilmente la più progredita del mondo, che al punto 2 recita “I cani vaganti ritrovati, catturati o comunque ricoverati presso le strutture di cui al comma 1 dell’articolo 4, non possono essere soppressi” e al punto 3 “I cani catturati o comunque provenienti dalle strutture di cui al comma 1 dell’articolo 4, non possono essere destinati alla sperimentazione“. Nei paesi che accolgono a profusione i nostri animali, invece, le regole sono diverse. Oltre alle generalizzate soppressioni nei canili, di caso in caso sono gli stessi privati che, volendo – senza dover fornire particolari giustificazioni – possono ottenere legale eutanasia per l’esemplare divenuto indesiderato. Altri codici prevedono la legittima eventualità che il proprietario ceda cane o micio ai laboratori di sperimentazione. Questa infatti, i tavoli dei test farmacologici e cosmetici magari in deroga a normative compiacenti, è l’ipotesi più diffusa, suffragata anche da significativi movimenti di denaro. Ma non si esclude l’utilizzo degli animali per pelli e pellicce, materassi, né l’impiego della loro carne (se non a uso umano: per cinesi, vietnamiti e coreani costituisce un piatto abituale, che prevede lo scuoiamento del soggetto ancora vivo) per mangimi destinati ai consimili più fortunati. L’aumento esponenziale delle intolleranze alimentari e malattie gastroenteriche fra gli animali domestici non dimostra nulla, naturalmente, ma è un fatto. E ancora, c’è chi ipotizza che in certi casi i viaggi dei cani per tutta Europa possano permettere spostamenti di droga. Nel 2004 la Guardia Civil spagnola intercettò all’aeroporto di Barajas una partita di 4.550 grammi di cocaina purissima proveniente dalla Colombia nascosta nel corpo di cani vivi. In quell’occasione gli animali furono operati (e sopravvissero) per recuperare 49 capsule cilindriche contenenti la polvere bianca.

Secondo quanto segnalato con preoccupazione dalla giornalista tedesca Karin Burger in un articolo del 2010, nella sola Germania si importerebbero dall’estero fra i 250 e i 400mila cani l’anno. Sono valutazioni forse ottenute attraverso i certificati di adozione, obbligatori per i cani, o interrogando le banche dati sanitarie. Senza tener conto magari di quanti passano i confini confusi nel mucchio e privi di documenti, e neppure di tutti i gatti che, senza anagrafe né obbligo di microchip, viaggiano in spaventosa, invisibile moltitudine.

“Stando a quanto avviene da oltre 40 anni, con un notevole incremento nelle ultime stagioni, in Svizzera, Germania, Austria, Belgio, ogni abitante dovrebbe oggi possedere un canile. Poi però, quando si va in questi paesi, per strada s’incontrano solo cani di razza e non meticci, tantomeno animali storpi o handicappati,” osserva Enrica Boiocchi, vicepresidente del Gruppo Bairo, associazione estremamente vigile sulla materia. “Già nel secolo scorso in Lombardia fra le cascine passavano i camioncini a raccogliere gli animali in più per la vivisezione: allora si diceva, oggi bisogna ricorrere a stratagemmi,” prosegue. “Però, finché non vedi con i tuoi occhi non capisci. Partecipai al fermo di un carico al confine con la Svizzera: un trasportino per gatti di quelli piccoli, di stoffa, ne conteneva nove. Coperti di vomito e feci, completamente disidratati. Non si staccavano più dalle ciotole dell’acqua, e malgrado i nostri sforzi morirono quasi tutti. I cani, come di prassi in queste spaventose spedizioni, erano sedati, imbambolati, nemmeno si tenevano seduti. Ogni giorno decine di mezzi carichi di questi sventurati passano la frontiera svizzera, li vediamo, eppure non li ferma nessuno. In ogni caso gli animali dovrebbero rimanere nel loro territorio ed essere adottati a casa propria.”
Stipati nelle gabbie all’interno dei veicoli, a gruppi di 50 e più, essi al contrario attraversano la Penisola e oltrepassano i modestissimi controlli. Il sistema informativo comunitario TRACES (TRade Control and Export System), piattaforma informatica veterinaria che dovrebbe segnalare, certificare e verificare esportazioni, importazioni e scambi di animali e prodotti di origine animale, prevede che al momento del rilascio della documentazione necessaria al viaggio per un numero di cani superiore a cinque l’autorità sanitaria di un paese mandi comunicazione per via informatica all’autorità omologa del paese di destinazione. L’ostacolo è presto aggirato, perché ogni volta i cani vengono intestati per un massimo di cinque all’associazione richiedente, o al singolo adottatore straniero, e poco importa poi se viaggino tutti sullo stesso mezzo.

Dai canili e dalle strade italiane, quasi sempre grazie all’interessamento di associazioni straniere operative sul nostro territorio con l’ausilio di una rete di collaborazione nostrana (attiva anche sul Web per mezzo di siti, blog e pagine di facebook che respingono l’animalista esperto e esercitano attività di facciata servendosi dell’adesione degli appassionati più ingenui) anziché all’adozione diretta moltissimi animali finiscono in stallo nei rifugi degli altri paesi, in attesa di una sistemazione. Se la legge tedesca prevede solo la Schutzgebuehr, una tassa al momento di ritirare l’esemplare dalla struttura pubblica, è in vigore l’usanza di pagare un riscatto che può arrivare fino a 350-400 euro a cane, giustificato dalle associazioni come rimborso per i costi sostenuti. Su Internet, siti tedeschi mettono in vendita meticci a cifre analoghe: comunque ben inferiori al costo di un esemplare allevato espressamente per essere sacrificato alla ricerca. “L’ipotesi di un mercato di questo genere è purtroppo attendibile e getta ulteriore discredito sulle attività dei laboratori che sperimentano sugli animali,” commenta Fabrizia Pratesi, coordinatrice di Equivita. “Non solo dunque utilizzano risultati ottenuti su specie diverse dall’uomo, ma si basano all’occorrenza su soggetti non uniformi fra loro, di cui non si conosce il passato.”

“C’è un giro di denaro enorme, interessi smisurati: infatti, malgrado le incessanti segnalazioni e denunce da parte degli attivisti di tutto il mondo, non ultimi quelli dei paesi importatori, e le evidenze riscontrate ogni volta, questo mostro tentacolare è sempre più attivo,” dice Francarita Catelani, fondatrice di UNA-Uomo Natura Animali Cremona e veterana nella battaglia contro le esportazioni di animali d’affezione. “Sono finita in questa voragine a metà degli anni 90. Dal napoletano ci segnalarono che la titolare di un’associazione tedesca stava partendo con un carico di cani. Furono prima fermati a Barberino del Mugello, ma la Asl li lasciò passare. Poi, a Como Brogeda, lo stop. Ci presentammo alle 3 del mattino, era pieno di polizia: sapevano del nostro arrivo. C’erano tre veterinari della Asl che invece di contare i cani – 42 uno sull’altro, tutti addormentati ” ricorda “facevano il filo a una nostra volontaria che era uno schianto. Finché il capo veterinario della Asl di Como capì. Redasse tre verbali e il giorno dopo il furgone fu scortato fino all’imbocco dell’autostrada, reinstradato verso Caserta. Ma di sicuro, girato l’angolo, riprese il suo cammino. L’autista era un ragazzo. Gli chiesi: ‘Ti rendi conto di cosa stai facendo?’ E lui: ‘Mi pagano’. Quella notte, durante il fermo, a un certo momento sopraggiunse un’automobile di lusso da cui scese una donna opulenta che consegnò assegni alla tedesca e all’autista.” Ma la vicenda di Como non costituisce l’unico caso di intervento delle forze dell’ordine in merito a tratte di cani verso l’estero. “Succede, quando riusciamo a farci ascoltare, ma poi tutto rimane come prima. Un paio d’anni fa ad Ancona sono stati bloccati 102 cani provenienti dalla Grecia,” dice ancora la Catelani. “Una parte fu trattenuta in Italia, altri purtroppo furono consegnati ai presunti adottatori, i quali inviavano foto dei bambini piangenti in attesa del pet. C’è stato un fermo ad Arezzo sei anni fa, e ancora uno a Padova. E a Verona, nel 1995, si aprì un’indagine per verificare nomi e indirizzi a cui erano stati dati in adozione 100 cani. Risultarono tutti falsi, dal primo all’ultimo. Abbiamo scritto ai consoli, ai parlamentari – sia i precedenti che gli attuali, ai Nas: niente. Un’associazione spagnola (adesso tra l’altro carichi di galgo dalle perreras approdano pure in Italia; qualcuno va in famiglia, altri transitano negli stalli e così via) si è rivolta alla Commissione Europea. Hanno risposto che circa i canili di competenza dei vari stati non si può fare niente.”

Qualcuno però, non dandosi per vinto, ottiene ragione. E’ un piccolo gruppo di volontari di Ischia, riuniti poi in UNA Ischia, che per anni si oppone alle massicce esportazioni organizzate dal canile di Forio. Per molto tempo luogo di confluenza degli animali senza padrone di tutta l’Isola, che conta sei comuni, è in origine gestito da una signora tedesca di nome Annemarie Ernst che nel 2003 tenta un clamoroso suicidio e, sopravvissuta, torna in patria lasciando le redini a un gruppetto di collaboratori tedeschi e italiani. I veicoli in partenza da Forio sono così stracolmi di cani e gatti, fin sotto il tetto, che ci si domanda come possano raggiungere incolumi le loro destinazioni, tantopiù che molti sono affetti da leihsmaniosi e altre gravi patologie. Solo nel 2006, a suon di denunce, gli animalisti riescono a ottenere il fermo di un furgone e l’avvio di un’indagine assai accurata da parte della Procura di Napoli condotta dal pm Maria Cristina Gargiulo, che si serve anche di intercettazioni telefoniche.
Sotto pressione, gli inquisiti ricorrono sempre più di frequente ai “padrini di volo”, cittadini tedeschi usati come prestanome per l’espatrio degli animali. Ma l’inchiesta prosegue, la Procura avanza due rogatorie internazionali e la fase preliminare si conclude con il rinvio a giudizio di cinque imputati per maltrattamento di animali, falsità ideologica e materiale, associazione per delinquere finalizzata all’illecito traffico di esseri senzienti.

Recitano gli atti giudiziari:
Si aveva, così, modo di riscontrare i diversi casi di adozioni internazionali anomale, che già le attività captative avevano portato alla luce, ossia – in primo luogo – questi casi di adozione (definibili “fittizie”) in relazione alle quali risultavano adottanti persone diverse da quelle cui gli animali erano realmente destinati (persone fisiche o canili dislocati in Germania) e – in secondo luogo – i casi di adozioni completamente fasulle, ossia disconosciute dalle persone che figuravano dalla documentazione quali adottanti e rivelatesi il frutto dell’attività – posta in essere da alcuni indagati – di carpimento della buona fede dei firmatari.
E ancora:
Nel novembre 2006 è stata avanzata una prima rogatoria internazionale diretta all’A.G. tedesca, volta ad accertare destinazione reale in Germania degli animali oggetto delle false adozioni … Gli esiti di tale prima rogatoria, pur escludendo episodi di maltrattamento sugli animali trasportati in Germania, hanno confermato che gli stessi giungono in terra tedesca accompagnati da “finti padrini” i quali, poi, già all’aereoporto della località di destinazione finale, li cedono agli effettivi adottanti od ai “corrieri dei canili tedeschi” (che, poi, rivenderanno a terzi gli animali). ….. Nel maggio 2007 la Procura di Napoli avanzava a integrazione della prima un’altra richiesta di assistenza internazionale, con cui, previa allegazione dei bonifici bancari esteri pervenuti sui c/c bancari italiani della Fondazione “Ernst” … intendeva approfondire i profili inerenti il sostentamento della Fondazione attenzionata, con particolare riguardo all’identità dei finanziatori della medesima, interessati al mantenimento del flusso di trasferimento dei cani in Germania. Gli esiti di tale seconda rogatoria non risultano pervenuti.
 Nel frattempo, però, il rifugio è stato ceduto alla Pro Animale Fur Tiere in Not e. V. basata in Germania (dove ha già subito una condanna per maltrattamento di animali) che ha 32 punti di raccolta e smistamento di cani e gatti in tutta Europa. In data 15 maggio 2010 l’associazione firma un compromesso con il Comune di Forio: rinuncia a un credito di 62.500 euro maturato dai precedenti gestori in cambio dell’affidamento definitivo di 51 cani. Le spedizioni di animali vengono ufficialmente interdette solo nell’estate 2011 a seguito di un intervento della Asl, in attesa degli esiti del processo che avrà inizio presso il Tribunale di Napoli fra poco più di un mese.

Non si può certo affermare, comunque, che in linea di principio le aziende sanitarie locali mostrino attenzione o cautela rispetto al fenomeno delle adozioni all’estero, se non in rari casi di sensibilità dei singoli o sotto la pressione di interventi esterni. E’ attraverso i loro registri, infatti, che scorrono a centinaia, migliaia, le pratiche. Sono i loro uffici che appongono timbri su certificati e passaporti. Come non insospettirsi di fronte ai numeri eccezionali, davanti alle stesse persone che richiedono venti, trenta, cinquanta lasciapassare per volta? Nessun dubbio, quando accade che una stessa associazione si registri in alternanza con denominazioni lievemente modificate, a cui tra l’altro corrispondono codici fiscali diversi?
Eppure, secondo la nostra normativa, non solo le Asl sono responsabili della salute degli animali randagi, di proprietà dei comuni, ma insieme a questi ultimi hanno precisi obblighi di vigilanza anche riguardo il loro affidamento. Ma in quale modo si può avere riscontro di un cane che finisce in un altro paese, con anagrafi frazionate e nessuna forma di rintracciabilità?

Il senso di una legge così garantista dei diritti degli animali come la 281/91 è di attuare parallelamente massicce campagne di sterilizzazione – l’unico modo serio di evitare il randagismo -, politiche di sensibilizzazione in tal senso anche presso i privati e attività di adozione controllata nell’ambito del territorio di provenienza dell’animale. Eppure, qualche anno fa “un’indagine rivelò che al sud, da molte regioni, i fondi attribuiti dalla 281/91 non venivano nemmeno richiesti,” spiega Annamaria Procacci oggi consigliere nazionale dell’ENPA-Ente nazionale protezione animali, più che mai competente della materia poiché fu proprio lei, da deputato Verde, a presentare nel 1998 in Parlamento la proposta che dette il via alla legiferazione.
Soprattutto nel meridione, vige piuttosto l’abitudine di assegnare gli appalti in convenzione, vale a dire i finanziamenti pubblici, a strutture che si aggiudicano le gare al massimo ribasso. In Calabria, Campania, Puglia e altre regioni esistono canili giganteschi, o di medie e piccole dimensioni, che asseriscono di mantenere gli animali a cifre impossibili: un euro e mezzo cadauno al giorno. Con tale somma il cane o il gatto verrebbe accalappiato, nutrito, curato, sterilizzato, nel primo caso microchippato. Il pacchetto include smaltimento delle carcasse e inesistenti campagne di adozione. Per parte loro, gli enti locali sono lieti di stanziare sovvenzioni ridotte al minimo, così non investono nelle sterilizzazioni né nell’educazione o nelle adozioni. Gli animali finiscono in un buco nero da cui non riemergeranno più. Tanti muoiono di stenti, altri vengono eliminati sommariamente, qualcuno finisce alle lotte clandestine (esche e combattenti), altri ancora, perché no, possono essere esportati. Per le comunità sono numeri ingombranti, l’importante è sbarazzarsene: se poi qualcuno ci guadagna, meglio.

Molti di questi luoghi sono stati teatro di lunghe e sofferte battaglie animaliste, uno per tutti il celebre canile lager di Cicerale del Cilento. Altri sono stati indagati da ottime inchieste giornalistiche. In tempi recenti alcuni coraggiosi servizi di Roberta Badaloni per il Tg1 hanno messo in luce anomalie nel meccanismo che regola diverse strutture del sud.

Qualche volta la chiusura al progresso può essere determinata da superficialità. Fu forse il caso di Porto Empedocle, in Sicilia, dove nel 2008 una signora piemontese inviò a proprie spese un veterinario esperto in catture e sterilizzazioni, previo accordo con le autorità locali, perché colpita dalle innumerevoli segnalazioni di cani abbandonati, seviziati e bisognosi di soccorso provenienti da quella zona. Ma il medico, che rimase lì quindici giorni, a causa di sopraggiunti intoppi burocratico-sanitari non fu messo in condizione di operare un solo animale. Non che la zona fosse priva di randagi: l’anno successivo a Modica alcuni cani inselvatichiti attaccarono l’uomo, così in buona parte dell’isola i cacciatori furono incaricati di stermini.

In altre occasioni, sono le stesse autorità responsabili a favorire le trasferte di animali all’estero. Nel 2006 la Asl di Rieti, nella necessità di svuotare il canile di Cantalice al centro di furiose polemiche circa le pessime condizioni in cui gli ospiti erano detenuti, siglò un protocollo d’intesa con alcune associazioni, una delle quali straniera e specializzata in adozioni in Austria e Germania. L’accordo era propedeutico alle operazioni di affido che si svolsero nel 2010, inviando all’estero oltre 100 cani. “Noi abbiamo la coscienza a posto. Ci fidavamo molto delle persone che si sono assunte l’incarico e a breve abbiamo ricevuto le fotografie dei cani sui divani delle nuove case, abbracciati ai padroni,” dice il dottor Angelo Toni, direttore del Dipartimento di Prevenzione e responsabile dei Servizi Veterinari della Asl di Rieti. Di tutti? “Bè, non proprio. Esiste il diritto alla privacy, ma nel caso siamo aperti all’ipotesi di ricontattarli pregandoli di rendersi disponibili a una verifica.”

“Nell’insieme, quello delle adozioni all’estero è un fenomeno che teniamo d’occhio e stiamo analizzando attraverso riunioni in cui abbiamo sentito Asl e rappresentanti delle varie regioni,” dice Rosalba Matassa, dirigente veterinario alla Direzione generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario al Ministero della Salute. “Conosciamo anche casi di grande trasparenza, ma è vero che una volta usciti dall’Italia di questi animali si perde ogni tracciabilità. Così, più di un anno fa, abbiamo provato a proporre una procedura operativa condivisa per effettuare i controlli a Svezia, Svizzera, Germania e Austria. Non ci ha risposto nessuno se non la Svizzera, obiettando che loro si regolano per conto proprio con il TRACES. Credo che convocheremo presto un nuovo tavolo invitando anche le associazioni,” prosegue “quindi l’idea è di richiedere l’intervento della Commissione Europea.”

Non sempre gli animali spediti altrove provengono da canili e rifugi. C’è infatti chi li accalappia per strada, in campagna, senza curarsi se facciano parte di colonie feline o gruppi di cani liberi accuditi (a meno che non si dimostrino mordaci, i CLA hanno ogni diritto di rimanere sul territorio donde non possono essere prelevati senza specifiche ragioni e autorizzazioni). Inoltre, c’è chi ruba, rapisce. Nei giardini, all’interno delle proprietà, nelle auto in sosta, fuori dai negozi. Quanti animali spariscono di continuo senza più lasciare traccia, se non ferite insanabili nell’animo di chi li ama? Denunciare il furto di un gatto equivale a segnalare quello di una bicicletta: impensabile che qualcuno si metta alla sua ricerca, eppure tanto spesso queste creature rappresentano per le persone affetti profondi, anche fondamentali.

A volte, per noi, i grandi numeri conducono all’astrazione. Nell’immensa tratta di animali, troppi, che ogni giorno partono verso luoghi ignoti, non riusciamo, non vogliamo mettere a fuoco un sentimento preciso. Ma soffermandosi a ragionare, anche chi non prova particolare attrazione per le forme di vita diverse dalla propria non stenterà a capire che avversare tali accadimenti significa contrastare movimenti criminali che hanno ripercussioni anche sull’esistenza dell’uomo. Chi invece ama gli animali, non si smarrisca in quella torma. Per un istante immagini che dentro una gabbie ammassata sul fondo di qualche furgone ci sia il suo cane, o il suo gatto, sottratto alla casa e alle certezze. Drogato, spaventato, confuso, solo, verso l’ignoto. E proprio perché non è impossibile, ci aiuterà a comprendere meglio il significato di questo orribile traffico, al cui riguardo è necessario ottenere immediati provvedimenti, chiarezza e giustizia.

Applicare la legge, anziché cambiarla – di MARGHERITA D’AMICO
Le tratte dal canile di Ischia: dalla battaglia al processo – di LUIGI GAETANI D’ARAGONA
Quando davvero si vuole adottare un cane all’estero: storia di Polly e Magrina – di SUSI COTTICA
Lo strano caso di Porto Empedocle. Il veterinario che non poté sterilizzare i randagi – di ILRESPIRO.EU
La testimone: una vicina spedisce all’estero 50 cani al mese – di LUIGI GAETANI D’ARAGONA
Annamaria Procacci racconta la 281 del 1991 – di ILRESPIRO.EU
Il furgone che rapisce cani e gatti. Chi l’ha visto – di ILRESPIRO.EU
L’Enpa contro i trasferimenti in massa di cani e gatti dall’Umbria in Germania – di PAOLA TINTORI
Sulle staffette e regole di adozione – di PATRIZIA ORUNESU
Le staffette in Italia: da risorsa a problema? – di STEFANIA PIERLEONI
Appello alla magistratura perché non archivi le denunce di crimini contro animali – di ROBERTA RATTI

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Una risposta a 3 novembre 2011 – Adozioni di cani e gatti all’estero, a migliaia verso l’ignoto

  1. Asor scrive:

    un grande articolo, preciso dettagliato e pieno di logiche spiegazioni, quelle che molti fanno finta di non capire ed una giornalista che parla di un argomento da molti colleghi taciuto. Complimenti.

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