I cinghiali radioattivi che spaventano le valli del Piemonte
Avevano ancora qualcosa da dire, i cinghiali cacciati in Val Sesia la scorsa stagione, ma non si trattava di parole: nella loro lingua è stato trovato Cesio 137 in una concentrazione molto superiore ai livelli massimi tollerati in caso di incidente nucleare, stabiliti dal Regolamento 733 del 2008. In base a uno screening effettuato sul muscolo – lingua e diaframma – prelevato da cento esemplari abbattuti nel comprensorio alpino piemontese e analizzati con metodo sperimentale da Pierluigi Cazzola, biologo responsabile dell’Istituto Zooprofilattico di Vercelli, ventisette hanno presentato valori di migliaia di Becquerel per chilogrammo, con un picco di 5.621, mentre il limite di guardia nella carne commestibile è indicato in 600 Bq/kg. Ieri il ministro della Salute Balduzzi ha reso pubblica la notizia, annunciando l’invio di Nas e Carabinieri, e il ministro dell’Ambiente Clini si è messo a disposizione. E oggi all’istituto zooprofilattico di Torino si terrà una riunione d’emergenza per valutare gli interventi. In realtà, già da tre settimane, le autorità sanitarie locali avevano rintracciato i cacciatori interessati, avvisandoli di non consumare quanto conservato perlopiù nei congelatori domestici.
Secondo gli esperti, la contaminazione degli animali è chiaramente riconducibile al disastro di Chernobyl, nel 1986. Già nel 2010 in Germania si erano scoperti forti concentrazioni di radionuclidi nei corpi di oltre mille cinghiali, motivando successivi monitoraggi, e anche in Austria la fauna selvatica ha segnalato la presenza di isotopi.
«In Puglia, poco dopo l’esplosione nucleare, si rinvennero alte concentrazioni di radionuclidi nei migratori, l’anno seguente erano diminuite, poi i controlli furono sospesi» racconta Eugenio Chiaravalle, responsabile a Foggia del Centro di Referenza Nazionale per la Ricerca della Radioattività nel Settore Zootecnico-Veterinario, che conferma la scoperta di Vercelli, avendo ripetuto gli esami sugli stessi campioni con prassi riconosciuta e apparecchiature sofisticate. Non è affatto sorpreso Massimo Scalia, ordinario di Fisica Matematica e padre dell’ambientalismo scientifico italiano: «Trovano perché finalmente cercano. Il Cesio 137 è un elemento di fissione non certo sparso in natura. Chernobyl fece precipitare su tutto il sistema alpino italiano cadute radioattive di intensità fra cento e mille volte superiori a quanto ufficialmente riconosciuto». Basta considerare che il tempo di dimezzamento del Cesio 137 si stima in 30 anni. «Nei giorni successivi all’esplosione del reattore ucraino, i venti portarono nubi verso la Scandinavia, per poi girare su Francia e Germania. Il terzo giorno partì una corrente fortissima da Est, dritta, che attraversò l’Ungheria e raggiunse l’Italia. Probabilmente le vette alpine drenarono i radionuclidi. Ora bisognerebbe estendere i controlli all’Alto Adige, all’arco alpino centro-orientale». Ma Elena Fantuzzi, responsabile dell’Istituto di radioprotezione dell’Enea, ipotizza anche l’influenza dei siti nucleari della zona o di rifiuti tossici.
Cazzola, che non esclude nemmeno l’impatto di esperimenti nucleari del passato, ha intrapreso lo studio di propria iniziativa su reperti di animali indagati per la trichinosi: «Erano già stati trovati quantitativi di Cesio 137 nel latte delle mucche che pascolano in alpeggio: 60 Bq/kg, dunque sotto il limite fissato per i prodotti caseari che è 370, mentre il latte di quelle allevate in pianura non ha rivelato nulla. Gli studi sui bovini compiuti in Bielorussia sui ci suggeriscono qualche differenza fra domestico e selvatico. Muscoli più allenati e metabolismo attivo potrebbero concentrare di più il Cesio 137, pericoloso per l’uomo solo se l’animale viene mangiato. È stato anche dimostrato che la contaminazione innalza nell’uomo l’incidenza di tumori e abbassa in modo grave le difese immunitarie. «Come spiega Enrico Moriconi, veterinario Ssn, «i cinghiali si nutrono di frutti selvatici, piccoli tuberi, funghi e altri alimenti capaci di concentrare gli isotopi nelle zone non arate, dove la radioattività rimane concentra nel primo strato del terreno. Ma ora bisognerà valutare pure animali che condividono gli stessi ambienti, in particolare gli ungulati». Intanto, in Piemonte infuria la polemica riguardo un nuovo disegno di legge regionale sulla caccia, appena annunciato, che per molti oppositori consiste in una decisa liberalizzazione del settore. «Si continua ad allentare le verifiche sanitarie nella commercializzazione – quando è permessa – degli animali selvatici uccisi», dice Annamaria Procacci, consigliere dell’Ente nazionale protezione animali «il Regolamento comunitario sull’igiene dei prodotti di origine animale 853/ 2004 ha permesso addirittura, su piccole quantità di fauna abbattuta dai cacciatori, di escludere i controlli». © RIPRODUZIONE RISERVATA