Orche depresse, la sofferenza nei delfinari – da Repubblica sera
Uno studio USA ha rivelato che le orche in cattività sono particolarmente vulnerabili agli attacchi delle zanzare, con esiti non di rado mortali. La ricerca, condotta dai biologi marini John Jett e Jeffrey Ventra attraverso una collaborazione fra i rispettivi atenei – la Stetson University e la Louisiana State University – si è focalizzata sugli animali imprigionati negli acquari e soprattutto nei parchi acquatici. Aree umide frequentate da una notevole promiscuità di turisti e pure da innumerevoli parassiti e insetti. Depresse, quando non costrette a esibirsi, a quanto pare le orche rinunciano a nuotare e immergersi, trascorrendo la maggior parte del tempo in un galleggiamento inerte. In tal modo espongono di continuo il corpo a punture infette. Le zanzare infatti si precipitano a ricoprire le parti affioranti dei mammiferi marini, vulnerabili tra l’altro a scottature solari che ne deprimono il sistema immunitario. Nello studio si menziona il caso di un’orca di quattordici anni morta nel 1997 a causa della West Nile trasmessa da insetto e di un maschio ucciso dall’encefalite nel 1990, quando aveva venticinque anni. Ma al di là delle zanzare, sarebbe necessario ragionare più ampiamente sui rovinosi effetti della prigionia, che ricadono sugli individui e sulle specie. Alla base delle malattie che colpiscono gli involontari ospiti di piscine, gabbie, voliere, c’è sempre l’infelicità. Grandi o piccoli che siano, animali nati per nuotare negli oceani, volare nel cielo, arrampicarsi o correre nelle foreste non possono essere costretti senza conseguenze nei circhi acquatici, negli acquari casalinghi, negli zoo pubblici o privati, gabbiette appese sul nostro balcone. La privazione della libertà è forse il più doloroso torto che si possa infliggere a un individuo e noi lo dispensiamo con una disinvoltura inaccettabile.